I nostri risparmi nell’epoca dei tassi negativi
- 2 Settembre 2019
- Posted by: Amministrazione
- Categoria: Fondo Pensione
Costruire un portafoglio solido seguendo la regola d’oro della diversificazione
Vivere in un periodo di tassi bassi o negativi è l’incubo dei risparmiatori italiani, tradizionalmente affezionati ai titoli di stato e alle obbligazioni e poco propensi ad affrontare le insidie dei mercati azionari. E così, tra rendimenti nulli e situazione economica incerta, il risparmiatore finisce per rimanere immobile, lasciando i propri soldi sul conto corrente, quasi sempre senza remunerazione o comunque con tassi bassissimi.
I dubbi dei risparmiatori sono legittimi perché stiamo vivendo una situazione decisamente anomala, con tassi storicamente al livello più basso di sempre. In passato ci siamo trovati di fronte a situazioni radicalmente opposte. Chi ha qualche capello bianco ricorderà gli anni ’80 del secolo scorso, quando i Bot rendevano anche oltre il 20%.
Tassi di interesse e inflazione
Come mai ci sono tali differenze e chi determina l’andamento dei tassi? I tassi di interesse sono prevalentemente influenzati dalle scelte delle banche centrali (la BCE per l’area Euro, la Federal Reserve per gli USA, ecc.). Le banche centrali decidono le politiche dei tassi in base ai mandati che sono loro assegnati dalle leggi istitutive e su obiettivi economici predefiniti. Nel caso della nostra Banca Centrale Europea il parametro di riferimento da controllare è l’inflazione, l’indice dei prezzi al consumo che misura il potere di acquisto del denaro. Facciamo un esempio: immaginiamo di avere 1.000 Euro che ci permettono di acquistare il paniere di beni e servizi che misura l’inflazione; se l’inflazione dopo un anno fosse il 4%, per acquistare gli stessi beni e servizi avremmo bisogno di 1.040 euro. Se invece l’indice dei prezzi calasse del 4% ci servirebbero 960 euro per acquistare gli stessi beni (e in tal caso si parlerebbe di deflazione). Sia l’inflazione oltre un certo limite, sia la deflazione sono pericolose; l’inflazione perché erode il valore del nostro denaro, a volte senza una nostra percezione immediata, ma anche la deflazione non è un segnale positivo, come si potrebbe pensare, perché i prezzi in calo sono sintomo di una riduzione dei consumi e della recessione. Insomma va bene un po’ d’inflazione ma non troppa.
L’inflazione in calo e le mosse della BCE
Per questi motivi, la BCE ha il mandato di cercare di mantenere il tasso di inflazione intorno al 2%, ritenuto un valore ottimale per un’economia in buona salute. Considerando che stiamo vivendo un’epoca di bassissima inflazione (a seguito delle crisi economiche, della globalizzazione e della rivoluzione digitale), la BCE ha portato i tassi a livelli minimi nella speranza di dare ossigeno all’economia (se i tassi sono bassi le imprese investono e le famiglie stipulano mutui per acquistare immobili o prendono finanziamenti per acquistare bei durevoli come per esempio l’auto).
Considerando gli scarsi risultati raggiunti con il semplice calo dei tassi, dal 2015 la BCE ha lanciato uno strumento di politica monetaria (quantitative easing) che prevede l’acquisto di titoli di stato e obbligazioni per immettere liquidità nel mercato finanziario. Il programma aveva come obiettivo far ripartire il credito delle banche verso l’economia reale, ovvero imprese e cittadini e contrastare i rischi di deflazione, riportando il tasso di inflazione verso il target del 2%. Obiettivo ad oggi non ancora raggiunto e per il quale la BCE sta pensando di mettere in campo ulteriori strumenti di politica monetaria.
Occhio al tasso di interesse reale
Un altro elemento fondamentale che il risparmiatore deve tenere a mente è la differenza tra il tasso di interesse nominale, cioè il tasso ‘promesso’ quando si fa un investimento, e quello reale, cioè il tasso di interesse nominale depurato dall’inflazione. Facciamo un esempio: se acquisto un’obbligazione che rende il 3% annuo e l’inflazione annua è il 2%, il mio tasso d’interesse reale sarà dell’1%. Per questo motivo i rendimenti del 15 – 18% degli anni ’80 non erano convenienti di fronte a un tasso d’inflazione che viaggiava intorno al 20% (tasso nominale 18% – inflazione 20% = tasso di interesse reale -2%).